Essere oggi Exallievi: è ancora attuale l’insegnamento di don Bosco ?

GIUSEPPE ACOCELLA

 Per quali ragioni la Provvidenza volle Don Bosco e la sua Società Salesiana? A 200 anni dalla nascita del Fondatore c’è una ragione per volere ancora gli Ex allievi ?

  Il 200° anniversario della nascita di don Bosco si presenta come una occasione propizia per riflettere sulle responsabilità della Famiglia salesiana nella creazione di un vasto movimento di persone che realizzi il mandato di Don Bosco. La via per impostare questa riflessione profonda e “rifondativa” è quella di ricostruire le motivazioni e le ragioni profonde, insomma la storia, di una vocazione straordinaria. <<Il nostro sforzo – ha scritto il Rettor maggiore nel 2014 – sarà quello di una comprensione storica del metodo di don Bosco, sapendo che particolari considerazioni situazionali hanno dato origine alle impostazioni di principio, alle elaborazioni teologiche, antropologiche, pastorali, pedagogiche che egli ha pensato opportune per i giovani del suo tempo>>.

Si ripropone infatti costantemente - e specie due secoli dopo la nascita del Fondatore – la questione della corrispondenza della vita della Società allo spirito del Fondatore, problema che riguarda la compatibilità tra obbedienza alla vocazione originaria e necessità inderogabile di adattare il carisma ai tempi in mutamento. Dunque la questione di una Unione di Ex allievi all’interno di una Casa salesiana non è – da questa prospettiva – differente dai problemi di presenza di Ex allievi al di fuori di un tale contesto, anche se, certo, con qualche difficoltà in più. Basta guardare gli elementi che emergono a tal proposito nei Capitoli della Società di san Francesco di Sales degli ultimi vent’anni per vedere quanto rilevante sia stata la riflessione sulle strade da intraprendere perché la Società salesiana sia capace di interpretare il mandato affidatole da Don Bosco nelle condizioni “presenti”.

      Se però si ragiona sul fatto che – a mezzo secolo dalla conclusione del  Concilio Vaticano II e dalla sua rinnovata ecclesiologia sul “popolo di Dio” e sulla centralità della vocazione dei Laici nella Chiesa – le prospettive immaginate dai padri capitolari, e messe in opera dai Rettor maggiori succedutisi, appaiono rivolte e assegnate esclusivamente ai consacrati, si può comprendere come  anche per la Società di Don Bosco sia venuto il momento di valorizzare la verifica dei risultati ottenuti nel vasto campo dell’educazione dei giovani laici che la Provvidenza le ha affidato così numerosi.

        Quanto precedentemente asserito ha l’ambizione di fornire anche qualche ragione dello stato “minore” in cui appaiono versare gli Exallievi, costantemente alla ricerca dei modi per uscire dalla “sindrome dei combattenti e reduci”. L’educazione ricevuta finisce per apparire sempre cosa rivolta al passato, testimone di sentimenti nostalgici e poco dinamizzanti nel contesto civile ed ecclesiale attuale. Eppure a chi, se non ad essi, laici in quella porzione di Chiesa legata al carisma di Don Bosco, può essere affidato il rinnovamento e la testimonianza della spiritualità salesiana nel mondo attuale ? Anche per la SDB potrebbe essere venuto il tempo dei laici (e non i cooperatori, legati ad una fase “attuale” ma non – come i “ragazzi di Don Bosco” – ad una esistenza verificata e comprovante quanto sia stata feconda nel mondo l’educazione ricevuta, cioè presenti per i segni ed i carismi riconducibili alla scelta vocazionale di Don Bosco e dei suoi figli.

          Ecco dunque cosa chiedere agli Exallievi: di essere i laici testimoni di un carisma e di una spiritualità non tramontata, non necessariamente riferita ad una azione “apostolica” (che non terrebbe conto che non solo l’Associazione, ma il più vasto Movimento non è  necessariamente di militanti cristiani e credenti consapevoli, ma copre una più vasta area che testimonia l’efficacia dell’azione salesiana nel mondo), ma capace di tener viva l’azione voluta dal Fondatore, in grado di ravvivare la Chiesa ed il mondo.

      Non volle forse Don Bosco scegliere un modello associativo “laico” e civile ? Così – in coerenza – va riscoperto un modo “civile” e laico di essere presenti nel mondo e nel tempo attuale per far presente la Chiesa ed il messaggio evangelico. La testimonianza delle Virtù apprese assume un significato non indegno della novità apportata da don Bosco nel suo tempo, in una epoca come l’attuale in cui l’etica pubblica e le virtù civili sono neglette (ottimismo orientato dalla Speranza, rinuncia all’utilitarismo, sobrietà, valore del lavoro, coraggio della propria identità senza cedere al “rispetto umano”, dimensione sociale e collettiva della esistenza: i doveri del proprio stato insegnatici nella preghiera a Don Bosco, Padre e Maestro della Gioventù).

II

L’insegnamento spirituale di don Bosco: ancora attuale per i laici oggi ?

      La vitalità del carisma educativo di don Bosco e della Sua Società rischia di avviarsi all’esaurimento in una realtà sociale frammentata e variegata, confusa ed assordata nei suoi riferimenti valoriali dal frastuono delle voci che sostituiscono alle fonti educative le sollecitazioni e le seduzioni ben più roboanti dell’individualismo edonistico, dell’egoismo esasperato, del materialismo che si erge a criterio morale comune.

      Giovanni Bosco si preparò al sacerdozio nel seminario di Chieri, in una temperie di primo Ottocento segnato dagli scompensi morali e sociali che accompagnarono la prima industrializzazione con lo sconvolgimento degli equilibri precari della società rurale, e in un clima religioso-culturale, seguito all’irruzione dell’Illuminismo, segnato dal serrato confronto tra gli orientamenti “rigoristi” e quelli “benignisti” (misericordia e pietà, ragione e libertà, condanna senza appello o pentimento e perdono). Nella formazione sacerdotale come nella predicazione pastorale ragione e amorevolezza sembravano dover restare in totale contraddizione, contrapponendosi una interpretazione positivistica dello scientismo pagano e materialista (con la conseguente esaltazione del corpo) ad una concezione che nella mortificazione e nel rifiuto della ragione indifferente sembrava trovare l’antidoto all’assalto materialista da contrastare fuggendo dal “mondo”.

      La sostanziale adesione di Giovanni Bosco agli orientamenti benignisti (che nel meridionale Alfonso Maria de’ Liguori avevano avuto il loro campione) sembra fuori discussione (come mostra anche l’indiretto ritratto di “don Benigno”, il prete dei giovani operai tracciato nel suo romanzo da Cesare Cantù, che aveva ammirato don Bosco a Valdocco), così come la precoce e sorprendente adesione – contro gli orientamenti maggioritari prevalenti nella Chiesa cattolica del tempo – alla campagna in favore del sistema metrico decimale, ancora sospetto di razionalismo ateo e di giacobinismo materialistico. Don Bosco metteva - anche in quel semplice libretto che avrebbe dovuto insegnare le unità di misura, necessari a viver meglio nelle campagne e nelle città, di contro alla varietà e confusione di sistemi di peso e misura che favorivano abbienti e prepotenti – insieme apprezzamento della ragione e finalità sociali che intendevano privilegiare la tutela e l’istruzione dei più esposti, nella certezza che questo significasse cercare il vangelo e la sua giustizia, tanto il resto sarà dato in aggiunta (Da mihi animas cetera tolle) . La vocazione “popolare  e giovanile” ha i suoi germi in questa combinazione. In questo cuneo si inserisce la naturale educazione alla democrazia degli ambienti popolari che si ispirano al cortile di Don Bosco, vero “cortile dei gentili” perché aperto a chiunque accetti le regole che consentono di stare insieme.

      Ma cosa può significare oggi una strategia educativa informata all’asse ragione, religione, amorevolezza ? Non hanno nulla più da trasmettere gli ex allievi ? Se ricordo la mia personale esperienza, riconosco i tratti della vocazione che don Bosco seguì affidandola ai suoi figli. In una età che già conosceva la propensione al consumo (prodromi della condizione attuale), in specie seguendo la fase difficile delle restrizioni del primo dopoguerra, la possibilità che ebbe la mia generazione di passare una parte importante della propria esistenza, nell’età decisiva della stagione formativa, nei cortili di Don Bosco ha significato assorbire un modello etico-comportamentale non incline al consumismo, spronato ai valori della sobrietà e della partecipazione comunitaria. E quanto l’esperienza dell’equilibrio tra corpo ed anima, tra organizzazione ludico-educativa del nostro tempo e pratiche devozionali, tra temporale e spirituale, insomma, fosse innovativa e rilevante per tutti noi, specie nel Mezzogiorno, dovrebbe essere intuibile oggi, allorché il processo di resa al consumismo sfrenato si è consumato da tempo. Si pensi – per restare all’educazione di corpo e dei anima - agli esiti in ragione dei quali oggi – dopo aver sperimentato il consumo di ogni cosa – si transita al consumo del proprio corpo (cocaina, degrado della sessualità, manipolazione estetica e genetica).

       Ma non irrimediabilmente. Così come era seducente il richiamo di quel primo consumismo degli anni Sessanta, eppure un modello educativo efficace - che rivelava per la prima volta ad un mondo come quello dei ragazzi che essi invece contavano e avevano tanto valore da dare senso ad una grande iniziativa - riusciva allora a incidere positivamente, così oggi uno sforzo etico verso un modello valoriale non utilitaristico ed informato alla sobrietà e ai valori comunitari e sociali sarebbe tanto più coerente con il carisma di don Bosco, dopo i danni che l’eccessiva ed incontrollata propensione al consumo genera, resa più drammatica dalla crisi economica ancora in atto, e aggravata dalla crescente propensione alla irresponsabilità, alla fuga nella sola dimensione ludica e del godimento, nel gioco o nelle altre dipendenze. 

III 

Onesti cittadini, buoni cristiani. Ragione, religione, amorevolezza

      Se riflettiamo – come ci sprona a fare il Rettor maggiore – sulla prassi educativa di don Bosco per attualizzarla al confronto con la condizione attuale, va considerato come il nerbo della novità di quel progetto educativo non sia evaporato: lo sguardo rivolto al regno dei cieli non fa né trascurare né disprezzare i bisogni concreti, il gioco, la vita, anzi ne scopre ed esalta il senso, e riporta al centro la responsabilità sociale e relazionale. Oggi questa sfida morale è il vero grande terreno di confronto tra culture e concezioni etiche del nostro tempo e di quello prossimo venturo, ed impone l’urgenza educativa di dare su temi di tale delicatezza messaggi che richiamino i principi morali per i giovani (sui quali è invece facile che la banalità utilitaristica riesca a fare presa coi suoi messaggi superficiali, che indicano le vie della esaltazione della solitudine).

     E’ dunque necessario schierarsi sul fronte della storia, a testimoniare che la vita ci è cara in tutte le sue manifestazioni ed i suoi momenti. Le difficoltà che oggi lo stesso mondo cattolico vive di fronte alle nuove sfide potrebbero avere così una risposta da un fronte generoso e ricco di dinamismo giovanile: quello dei ragazzi di don Bosco, capaci di affrontare il mondo secolarizzato non lasciandosi intimidire dal rispetto umano (e dunque capaci di vivere intensamente da credenti una compiuta laicità), ragazzi sempre, sempre uguali e sempre diversi nelle generazioni che si susseguono, ragazzi che dai cortili salesiani hanno appreso il dono dell’eterna giovinezza.

     Senza addentrarsi nel significato assunto nell’età moderna dal valore dei principi di garanzia e di salvaguardia dei diritti della persona e del cittadino, basterà ricordare che la formazione dello Stato democratico si consolida attraverso un sistema avanzato di sicurezza sociale che realizza i diritti fondamentali fondati sull’eguaglianza, tanto da far ritenere che il Welfare avrebbe reso superflua l’azione sociale della Chiesa in materia di solidarietà e di educazione. Il Rettor maggiore annota invece che la crisi manifesta del Welfare come attributo delle democrazie contemporanee conferma la perdurante rilevanza dell’azione svolta dalla Chiesa.

     Significativa è l’insistenza sui diritti umani da parte del Rettor maggiore nei suoi commenti che aprono <<il Bollettino salesiano>> sui temi della strenna già dal 2009, proprio a conclusione dell’anno che l’Unesco ha celebrato come anno dei diritti umani. I diritti umani riguardano non solo quanto va garantito in specie ai più deboli, ma anche la percezione di quali siano i valori umani condivisi che fondano i diritti umani. E per questo non c’è che da puntare sulla proposta educativa.

      Ma c’è un problema. La domanda che si impone in tutta la sua gravità è la seguente: frantumati i legami sociali tra le generazioni, affermato non solo il pluralismo etico (al quale non si può sottrarre, per sua natura, la modernità stessa) ma la relativizzazione assoluta, fino al nomadismo etico, dei punti di riferimento valoriali e morali, non si mina forse alla radice ogni possibilità di fondare una condivisa accettazione dei diritti umani ? Potrà mai sopravvivere, in assenza di una forte opera in questa direzione una rete di relazioni che consenta la coesione sociale indispensabile alla vita sociale ? La scommessa sui giovani è molto di più che il disagio che proviamo per l’insofferenza e per l’inquietudine che attraversano (e che hanno sempre attraversato in forme naturalmente diverse) l’età giovanile.

      La scelta di porre basi razionali – in tempi come i nostri di fanatismi, rigurgiti irrazionalisti, rifugio nei poteri di maghi e fattucchieri, new age e sentimentalismi fuorvianti – all’azione svolta in favore dei giovani, per educarli alla responsabilità personale, familiare, civica (Onesti cittadini, buoni cristiani) predispone già alla maturazione nell’età nuova (e del mondo cattolico) della maritainiana distinzione tra spirituale e temporale (senza che ciò diventi bieca separazione: la politica del Padre nostro) con la conseguente valorizzazione della laicità e del laicato cristiano. Il lealismo verso le istituzioni – manifestato da Don Bosco senza mai cadere né nel temporalismo becero né nello spiritualismo rinunciatario - è sicuramente una buona base per affrontare oggi il difficile tema del cristiano nella società secolare (rifiuto di ogni asservimento della Fede alle convenienze della politica, e perfetta aderenza alla modernità).

       Capovolgendo l’hegeliana sentenza sull’ ottimismo della volontà, pessimismo della ragione, don Bosco propone una ricetta efficace in virtù della quale la Speranza proprio sulla ragione – negatrice dei falsi idoli – può fondare le ragioni dell’ottimismo che anima la volontà umana. Si spiega così non solo l’accettazione del sistema metrico decimale, ma della stessa industrializzazione, temuta per i suoi eccessi di sfruttamento ed ingiustizia, non come benefico portato dei tempi nuovi. La giustizia sarà il nome della carità che lega la dimensione dell’oltrela Grazia che redime la natura riottosa a scegliere il Bene - all’impegno operoso per restituire dignità ai figli di Dio.

 

Conclusione

 

      Così – compagna non conflittuale della ragione -  la ispirazione religiosa non si pone come il freno antistorico di tutto quanto la mente e l’azione umana sono in grado di produrre per il progresso dell’umanità, ma si svela animazione di una realtà vivente amata da Dio. La fiducia nella Provvidenza, nella Grazia, in Maria Aiuto dei cristiani (Basta che chiediate, ed il Padre vostro vi ascolterà; Basta che un giovane entri in una casa salesiana, e Maria santissima lo prende sotto la sua protezione) diventano antidoto al piagnonismo bigotto e all’individualismo religioso (per cui si ricorre a Dio solo nelle difficoltà). Quando don Bosco proclama Vi aspetto tutti in Paradiso non pronuncia solo una promessa generosa, ma impone il più radicale e – per tanti – intollerabile degli impegni, il più esigente dei messaggi di vita spirituale, che sì consente soltanto o il rigetto pieno o l’adesione convinta e totale: niente vie di mezzo: La morte ma non peccati.

     Quando Don Bosco dichiara <<Lasciate che ve lo dica, e niuno di offenda: voi siete tutti ladri; lo dico e lo ripeto: voi mi avete preso tutto>>: <<io qui con voi mi trovo bene: è la mia vita stare con voi>>, rovescia ogni canone che impone subalternità ai giovani, fastidio per i loro giochi, mortificazione alla loro allegria: Qui facciamo consistere la santità nello stare allegri. L’amorevolezza è una componente essenziale del progetto educativo. Se quanto ho fin qui detto può servire – sul fondamento della lezione lasciataci da Don Bosco, che vale sia se stiamo in una casa salesiana sia se andiamo ciascuno isolatamente per il mondo – a maggior ragione può essere la base per continuare a testimoniare a Vietri anche dopo la dolorosa chiusura dell’esperienza di presenza diretta dei salesiani di don Bosco. Il Vangelo della gioia – di cui san Giovanni Bosco fu così convinto e convincente testimone – è ancor più oggi affidato a noi, si presenta ancora come un messaggio spendibile oggi, molto più che cercare di convertirsi ed inseguire forme della comunicazione alla moda, o cedimenti alla spettacolarizzazione fine a se stessa. La educazione è parte integrante di questo progetto (tanto più oggi, nel tempo della crisi): la dimensione sociale della carità è la verità della persona umana.

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